Era uscito dal carcere dove era stato rinchiuso dopo l’ennesima aggressione a sua madre. Colpa della droga. Di quelle sostanze che hanno trasformato questo giovane di belle speranze in una persona prigioniera di se stessa e del consumo di stupefacenti.
Era uscito da via Cavour pochi giorni fa: aveva deciso di ricominciare partendo da un percorso in una comunità di recupero. Quindi dopo quel periodo in cella, con una disintossicazione fisica rapida e dolorosa, l’urgenza impellente di proseguire con il recupero psicologico, l’accompagnamento verso quell’autonomia fisica e psichica che gli consentisse di riappropriarsi di sogni, desideri e della sua vita.
Niente da fare. E’ durato poco. Una volta in comunità, questo giovane, ha distrutto nuovamente se stesso e le speranze di familiari e operatori che con lui volevano vincere la scommessa di farcela.
Ha dato di matto, apparentemente senza alcuna motivazione plausibile, ha iniziato a distruggere tutto ciò che gli capitava a tiro, ha provato nuovamente ad aggredire la mamma che era andata a salutarlo e a dargli il sostegno utile per incitarlo ad andare avanti. Completamente fuori controllo ha creato momenti di paura e terrore che hanno indotto il personale a chiedere nuovamente l’aiuto del 113.
Sul posto la pattuglia della polizia, d’accordo con la procura, ha dovuto di nuovo trasferirlo in cella. E dunque per questo 40enne di Campobasso, con il pieno assenso del gip, si sono riaperte le porte del carcere di Campobasso.
Perchè in Molise non esistono strutture sanitarie capaci di far fronte alle urgenze cliniche di chi è vittima della tossicodipendenza. Non esiste negli ospedali della regione una sola stanza per accoglierli, un medico specialista o il personale formato per contrastare l’emergenza di una crisi di astinenza o di reazione psichiatrica all’abuso di sostanze.
Una carenza che non viaggia di pari passo con l’emergenza. Perché ben venga la prevenzione e ancor più la repressione ma le famiglie che già sono alle prese con il problema clinico causato dalle sostanze qui in Molise non sanno a chi rivolgersi.
Il SerD non ce la fa. O almeno, non può farcela con scarse risorse umane di cui è dotato al momento perché il numero degli utenti è assai rilevante.
Le strategie del sistema sanitario regionale per combattere un fenomeno fin troppo esteso che tocca ogni fascia di età e ceto sociale, sono poche. O comunque non sono sufficienti.
Parlarne fa bene ed è già tanto, alle parole seguono per fortuna gli interventi di fatto di polizia, carabinieri, guardia di finanza. Ma le famiglie precipitate nel baratro – che sono circa duemila – non sanno come uscirne perché non hanno né chi loro parla né chi dà loro sostegno concreto.
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