Effetti del jobs act

Fiat, giovane operaio assunto poche settimane fa licenziato in tronco. Arriva la sicurezza e lo porta via dalla fabbrica

Il giovane operaio è stato raggiunto dalla sicurezza martedì sera che gli ha notificato la lettera di licenziamento perchè "non ha superato la prova". Era team leader e avrebbe confidato di non reggere il carico di stress. Un caso accaduto nel silenzio generale di quasi tutti i sindacati. Intervengono i sindacati di base: "Quello che si vive negli stabilimenti Fca è uno stato di oppressione"

Sono le 21 e 30 di martedì 25 settembre quando due uomini della sicurezza dello stabilimento Fca Fiat di Termoli si recano nel reparto 16 valvole. Manca poco meno di mezz’ora alla fine di quello che in gergo viene chiamato il secondo turno: due uomini in divisa, con passo svelto e sicuro, si avvicinano alla postazione di lavoro di uno dei tanti operai della linea produttiva per consegnarli la lettera di licenziamento immediato e accompagnarlo fuori dai cancelli della fabbrica.

Il giovane, sorpreso e totalmente impreparato a essere “cacciato” dallo stabilimento in questo modo, apprende, leggendo la missiva della direzione, di essere stato licenziato a “causa del mancato superamento del periodo di prova”.

Il 23enne operaio era stato assunto solamente lo scorso 20 agosto, in una delle ultime “infornate” della Fiat: in quell’occasione furono regolarizzati 350 precari, con un contratto a tempo indeterminato dopo due anni (almeno) di precariato assoluto. Il ragazzo, di origine campane ma residente a Termoli da diversi anni, prima e dopo dell’assunzione di agosto, si era sempre mostrato capace e volenteroso. Uno sveglio, per essere chiari, talmente da essere nominato team leader. Una mansione aggiuntiva, supplementare rispetto al lavoro ordinario che implica una serie di responsabilità anche importanti come prestare attenzione alle caratteristiche professionali e personali di ogni singolo componente della sua squadra, fare in modo che tali caratteristiche possano sposarsi all’interno degli obiettivi che è necessario raggiungere, comunicare al diretto superiore i problemi che quotidianamente vengono a crearsi. Una sorta di supervisore che deve essere a disposizione anche fuori dagli orari di lavoro ma con nessun tipo di retribuzione migliorativa e aggiuntiva allo stipendio base.

Il contratto stipulato nell’agosto scorso è a tempo determinato ma non fa riferimento al contratto collettivo nazionale, bensì al contratto collettivo specifico (CCSL) di primo livello, che viene regolamentato dalle normative contenute dal Jobs Act. Contratto che prevede un periodo di prova di 45 giorni entro i quali l’azienda, a propria discrezione, può licenziare o meno. Il giovane team leader, qualche giorno addietro, avrebbe confidato al suo diretto superiore alcune difficoltà collegate al proprio ruolo, una sorta di intermediario tra la squadra e il suo superiore con telefonico aziendale e incarichi anche di comunicazione interna e coordinamento.  Un ruolo comunque impegnativo che peraltro, va ricordato, non prevede un bonus in busta paga.

Il superiore, fatte sue le lamentele e le problematiche del giovane operaio, le ha riferite alla direzione del personale che ha provveduto al licenziamento. “Non ha superato la prova”: la motivazione ufficiale. Una versione, quella delle difficoltà a svolgere il ruolo di Team leader, che viene smentita dal diretto interessato che, viceversa, afferma di: “non avere difficoltà a svolgere i compiti che il ruolo prevedeva”.

A livello contrattuale, in apparenza, non ci sarebbe nessuna inadempienza da parte dell’azienda nei confronti dell’operaio, ma resta il fatto che l’ex team leader è stato licenziato prima dei 45 giorni di prova e, la modalità del licenziamento pone diversi interrogativi: un prelievo coatto dal posto di lavoro. Sbattuto letteralmente fuori.

Un fatto grave che segna un passo indietro rispetto alla dignità umana, prima, e di lavoratore poi. Un licenziamento avvenuto nel silenzio di tutti i sindacati maggiori, impegnati in queste ore nelle elezioni per il rinnovo del responsabile della sicurezza, e nell’incredulità degli altri operai presenti. Gli unici, ad ora, ad alzare la voce sono stati i sindacati di base della FLMU – CUB, che ha pubblicamente denunciato il fatto e assisterà il lavoratore nella fase giudiziaria “affinché negli stabilimenti della FCA venga ripristinato lo stato di diritto del lavoro e vengano preservate quelle norme che tutelano il lavoratore dalle discriminazioni e dai licenziamenti”.

 “Assistere inerti a questo stillicidio non farà altro che aumentare il livello di barbarie all’interno degli stabilimenti FCA.  – spiegano i sindacalisti di base – Ovviamente il ricorso all’autorità giudiziaria, senza alcuna mobilitazione concreta dei lavoratori, potrebbe risultare vana, perché è proprio l’unità e la tenuta di tutti i lavoratori a rappresentare il giusto deterrente affinché situazioni simili non abbiano a ripetersi in futuro”.

Infine, definiscono la gestione aziendale uno “stato di oppressione quello che si vive negli stabilimenti FCA, che somiglia sempre di più a una barbarie e che deve essere contrastato con ogni mezzo e con tutti gli strumenti di cui i sindacati e i lavoratori dispongono”.

 

 

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