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Stranieri sieropositivi: “Una buona accoglienza passa per una sanità efficiente”

Intervista al coordinatore del centro di accoglienza più grande della regione sulla diffusione delle malattie infettive tra gli stranieri: "La prevenzione è fondamentale, tagliare i servizi sanitari è un danno, molto dipende anche da chi gestisce i Cas". Se in quattro anni a Campobasso si sono registrati una quindicina di casi di soggetti sieropositivi "le percentuali salgono sensibilmente per quanto riguarda quelli affetti da epatite B".

Qualche settimana fa per la strada vicino a uno dei centri di accoglienza per migranti di Campobasso sono stati ritrovati farmaci per l’hiv. Smarriti, è molto probabile, da qualcuno degli ospiti stranieri che risiedono in città. La notizia ha fatto parecchio discutere destando anche una comprensibile preoccupazione per un virus che – se non adeguatamente curato – può portare alla morte per aids.

L’Istituto superiore di sanità ha certificato che nel 2016 più del 35 per cento delle persone con una nuova diagnosi di hiv era di nazionalità straniera. Con una leggera predominanza delle donne eterosessuali rispetto agli uomini.  Gli arrivi dall’Africa (paese tra i più colpiti al mondo dalle malattie sessualmente trasmissibili), ha fatto crescere anche la percentuale di soggetti sieropositivi in Italia.

E il Molise come è messo?

Lo abbiamo chiesto a Salvatore Dell’Oglio, coordinatore del più grosso centro di accoglienza del Molise (gestisce, per conto dell’Eden, sei strutture nel capoluogo con 380 stranieri più altri 80 a Bojano).

“Dal 2014 qui da noi sono arrivati circa un migliaio di richiedenti asilo, di questi solo 15 sono risultati sieropositivi. Quella che invece è molto elevata è l’epatite b che ha percentuali significative (intorno al 10 per cento). Più marginale l’epatite C”.

Con una situazione potenzialmente pericolosa come questa è evidente che la parte del leone la farà la prevenzione. Agli sbarchi ma anche all’arrivo dei centri di destinazione.

“Una volta giunti in Italia ai migranti viene fatto uno screening veloce – generalmente visivo – per capire se chi è sbarcato non abbia infezioni causate da parassiti (parassitosi) ed è in condizione di essere accolto o ricoverato. La scabbia è parecchio diffusa e si cura facilmente con l’applicazione di una pomata. In periodi non emergenziali giungono da noi già ‘trattati’, in altri meno tranquilli no”.

Nelle 48 ore successive all’arrivo si fa quella che è comunemente nota come sorveglianza sindromica: una sorta di intervista per individuare i sintomi e la presenza di 13 sindromi fondamentali (colera, tifo, tubercolosi eccetera). Questa viene fatta dai medici dell’Asrem che si recano direttamente nei centri di assegnazione.

È uno screening sicuramente più approfondito a cui si aggiungono dei test (mantoux, hiv, epatite b e c e la sifilide) per le uniche patologie individuate con esami specifici”.

E se c’è qualcuno positivo cosa succede?

“Per i soggetti positivi si apre una cartella nel reparto di malattie infettive che permette loro di avere accesso gratuito alle cure e di essere seguiti”.

Il reparto in questione è uno di quelli colpiti dai tagli alla sanità: due posti letto (anche in eventuale isolamento per i casi contagiosi), visite ambulatoriali due volte la settimana e cinque infettivologi sono le risorse disponibili nell’unico reparto del Molise.

“Ma è ovvio che molto dipende da chi gestisce il centro, è un aspetto fondamentale per garantire assistenza continuativa agli stranieri malati. La scorsa settimana, ad esempio, io e il mediatore culturale siamo stati all’ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma perché un bambino nato a Campobasso è stato operato. I ‘tuoi’ ospiti restano sotto la tua responsabilità anche se vengono ricoverati fuori regione. Inoltre, da un anno a questa parte, anche la Prefettura – assieme all’Ispettorato del lavoro e all’Asrem – monitora con attenzione i centri di accoglienza dove viene a intervistare (col supporto del mediatore del centro stesso) i richiedenti asilo per sapere se seguono corsi di italiano, se hanno l’assistente sociale o se sono adeguatamente informati anche relativamente agli aspetti giuridici che regolamentano la loro presenza sul territorio italiano”.

È chiaro, insomma, che per fare “bene” l’accoglienza vanno coinvolte diverse persone e istituzioni. E in tutto questo i servizi sanitari sono l’ultima cosa da tagliare.

 

 

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