Campomarino

Ripalta, vittime identificate. Imprenditore molisano: “Erano braccianti regolari”

Identificate le vittime della strage di Ripalta. Sette lavoravano in Molise, a Campomarino. Il titolare: "Erano assunti regolarmente"

Tutte le vittime dell’incidente stradale in cui lunedì scorso sono morti 12 braccianti agricoli stranieri in provincia di Foggia sono state identificate. Le prime sette persone erano state identificate subito, poiché avevano i documenti, per le altre si è risaliti all’identità grazie alle impronte digitali. Si tratta di braccianti africani. Sette di questi hanno avuto rapporti di lavoro anche in Molise, precisamente a Campomarino nell’azienda agricola “Di Vito”. La Procura di Foggia in queste ore, dopo aver sottoposto a controlli l’azienda molisana, sta verificando se anche le altre vittime lavorassero per la stessa impresa o meno.

Lhassan Goultaine (Marocco, 39 anni), Anane Kwase (Ghana, 34 anni), Mousse Toure (Mali, 21 anni), Lahcen Haddouch (Marocco, 41 anni), Awuku Joseph (Ghana, 24 anni), Ebere Ujunwa (Nigeria, 21 anni), Bafoudi Camarra (Guinea, 22 anni), Alagie Ceesay (Gambia, 24 anni), Alasanna Darboe (Gambia, 28 anni), Eric Kwarteng (Ghana, 32 anni), Romanus Mbeke (Nigeria, 28 anni) e Djoumana Djire (Mali, 36 anni). Questi sono i nomi dei 12 braccianti morti nel tragico incidente di lunedì 6 agosto all’altezza del bivio di Ripalta in territorio di Lesina, in provincia di Foggia.

La procura di Foggia, guidata dal dottor Ludovico Vaccaro, ha aperto due distinti filoni di indagini: uno relativo alle cause dell’incidente che ha visto coinvolti nello scontro frontale il furgone con a bordo i braccianti e il tir che trasportava farinacei. La seconda indagine servirà a capire se gli stessi braccianti erano vittime o meno di caporalato.

In quest’ultimo caso gli organi inquirenti, grazie ai documenti in possesso dai braccianti, sono risaliti ad una azienda agricola molisana, la “Di Vito” di Campomarino. Il titolare, il 67enne Giovanni, nelle scorse ore ha rilasciato un’intervista al giornalista Giuliano Foschini per il quotidiano “La Repubblica”.  Giovanni, che porta aventi le economie e le sorti dell’aziende insieme ai suoi due figli, ha subito messo in chiaro che sui suoi terreni lavoravano “solo in sette e tutti assunti regolarmente”.

Poi ha raccontato il suo dolore appena saputo dell’incidente. Li avevo visti in faccia pochi minuti prima, hanno messo le mani nella mia terra. Al telegiornale ho visto quel pullman e ho capito tutto. Ho provato a chiamare il ragazzo, Lhassan, non mi ha risposto – riferendosi al presunto caporale – penso che non si possa parlare di caporale, è vero, organizzava il trasporto, noi ci rivolgevamo a lui per avere la manodopera ma semplicemente perché conosceva i ragazzi che noi assumevamo. Si spaccava la schiena insieme a noi, anche l’altra mattina. Io sono pensionato ma sono andato a dare un occhio”. Parole che lasciano intendere che sette dei dodici braccianti morti lunedì, prima dell’incidente erano a raccogliere pomodori in Molise.

Sulle condizioni di vita dei braccianti di colore, il 67enne imprenditore agricolo se la prende con il sistema: “Ma che colpa abbiamo noi? Sono altri che dovrebbero intervenire. Chi si chiede come sia possibile che la salsa costa 40 centesimi?”. Infine ha confessato all’inviato di Repubblica il suo desiderio di partecipare ai funerali “ma non so dove si faranno”, e che presto pianterà sette piante di ulivi in ricordo delle vittime. “Questa azienda non si deve dimenticare di quei ragazzi: gli ulivi hanno radici forti. Sarà una maniera per credere che la morte è solo un passaggio”.

Sul sistema che gestisce i costi di produzione e di trasformazione del pomodoro è intervenuta Coldiretti con un proprio studio nel quale si legge che “in una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,3 euro oltre la metà del valore (53%) è il margine della distribuzione commerciale con le promozioni, il 18% sono i costi di produzione industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l’8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all’etichetta e il 2% per la pubblicità.

Questo è solo un esempio di quanto poco vada, in relazione al prezzo finale del prodotto sullo scaffale, nelle tasche degli imprenditori agricoli – scrivono dall’associazione di categoria -. I veri produttori di cibo spesso sono così costretti a chiudere le loro aziende, impossibilitati finanche a coprire i costi di produzione: ciò accade a causa di evidenti distorsioni lungo la filiera e concorrenza sleale di quanti non regolarizzano il lavoro di braccianti tanto italiani quanto stranieri”. 

Coldiretti ribadisce, ancora una volta, la necessità di “affiancare le norme sul caporalato all’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari, presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso dalla Coldiretti”.  A tutto ciò va aggiunta “la considerazione che il sacrificio economico imposto agli imprenditori agricoli non produce alcun beneficio, sia in termini economici che di qualità del prodotto, ai consumatori” evidenzia infine il direttore Aniello Ascolese.

 

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