Senso/42

Sergio Marchionne: ritratto psicologico di un “manager umanistico”

Perchè la vita di un uomo riesce a colpire così a fondo la nostra sensibilità? In che modo l’immagine del “leader carismatico” può influire sulla nostra vita? Quale insegnamento possiamo trarre dalla manifestazione di un processo creativo che ha investito potentemente la vita di un uomo di successo?

In seguito alla notizia della malattia di Sergio Marchionne e della sua morte, mi è parso di cogliere nel nostro vociare collettivo l’eco di alcune domande fondamentali che, già apparse spontaneamente tra i nostri pensieri di fronte ad eventi simili, sembrano richiederci ancora una volta del tempo, una riflessione ulteriore da dedicare a tematiche che possono riguardare tutti e che potrebbero rivelarsi un ottimo modo per dialogare creativamente con un figlio o una figlia, con il compagno o la compagna, o col proprio allievo: Perchè la vita di un Uomo riesce a colpire così a fondo la nostra sensibilità?”, in che modo l’immagine del “leader carismatico” può influire sulla nostra vita?, “quale insegnamento possiamo trarre dalla manifestazione di un processo creativo che ha investito potentemente la vita, seppur breve, di un uomo di successo?”.

 

Provate, insieme a me, a rispondere a queste domande come farebbe un pittore di fronte alla sua tela bianca, cominciando da qualche pennellata di colore, ossia provando a dare forma visibile ai sentimenti e alle emozioni che immaginate possano aver provato gli studenti di una Università romana che, due anni fa, hanno incontrato e ascoltato in aula Sergio Marchionne mentre diceva loro: «Siate come i giardinieri: investite le vostre energie in modo che qualsiasi cosa facciate duri una vita intera e anche di più».

Malorni Nicola

Chi ha avuto modo di piantare un albero o una siepe in un giardino sa cosa si prova quando, a distanza di qualche anno dal quel gesto, le immagini del tronco divenuto più spesso o dei rami contorti e del colore più carico delle foglie sembrano rimandare ad un processo di trasformazione autonomo e inarrestabile, destinato a durare “una vita intera e anche di più”, la cui origine è nel gesto originario delle nostre mani. Sono gesti della nostra vita quotidiana, sono danze, sono dipinti dotati di senso che traducono la legge universale di trasformazione che tende a “far durare le cose a lungo” e rende la “bellezza” di un gesto originario un beneficio per tutti.

 

Ancora a Bologna, all’Alma Graduate School, durante la prima di un ciclo di cinque conferenze sulla leadership, il numero uno di Fiat Chrysler Automobiles aveva aggiunto: Assumere su di sé l’obbligo morale di fare, di partecipare al processo di costruzione del domani. Sentire la responsabilità personale di restituire alle prossime generazioni la speranza di un futuro migliore. È questo che rende la leadership un privilegio e una vocazione nobile”.

Scorgiamo in queste parole i tratti di uno stile di pensiero indirizzato al superamento del limite stesso della vita individuale; di un assetto psichico, non più centrato sulla soddisfazione del proprio bisogno individuale, ma alimentato dalla percezione di un fabbisogno collettivo, generazionale e generativo, che in quel “anche di più” si identifica come leadership indirizzata al superamento dell’Io.

 

Ma superare i confini del proprio Io non aveva per Marchionne l’unico significato di un investimento di energie per la squadra o per la collettività guidato da un atto di volontà, da un desiderio di potere: l’esperienza nobile della sua leadership si è andata, infatti, configurando come un’impresa difficile, rischiosa, che ha richiesto un enorme investimento di energia e coraggio necessari ad affrontare le angosce dell’anima, poiché volgere lo sguardo oltre i perimetri delle certezze che ci identificano come Io, equivale – come ci ricorda anche Kierkegaard – a volgere lo sguardo nell’abisso delle proprie possibilità, di fronte al quale l’Uomo prova angoscia.

 

Sempre attraverso un dialogo con gli studenti, ha consegnato a tutti noi, generosamente, un altro insegnamento attraverso la lettura di un passo di “Zorba il greco” di Nikos Kazantakis:  “Noi siamo minuscoli bachi che strisciano su una piccola foglia tra i rami di un albero gigantesco. Alcuni uomini, i più coraggiosi, raggiungono il limite della foglia. Di là, spingono lo sguardo nel caos. Tremando, si chiedono quale spaventoso abisso si stenda davanti. In distanza, sentono il rumore delle altre foglie del colossale albero. Sentono la linfa che per il tronco sale verso la loro foglia. Con il cuore gonfio, curvi sopra il baratro, tremano di paura nel corpo e nell’anima. Da quel momento comincia il pericolo. Alcuni soffrono di vertigine e delirano; altri, pieni di paura, cercano di trovare una risposta per tranquillizzare il proprio cuore e dicono: “Dio!”. Altri ancora, dal margine della foglia, guardano con coraggiosa calma il precipizio e dicono: “Mi piace!”.

Di fronte all’abisso delle proprie possibilità, ecco che all’Uomo – nella visione di Marchionne – si prospetta, da una parte, la via del panico, dell’arresto fobico, delle vertigini dell’ansia che può stringere fino a farci temere di soffocare; dall’altra c’è la via della fede, della ricerca di una rassicurazione e di una pacificazione delle angosce attraverso la relazione col divino; infine, c’è la “coraggiosa calma” che con una certa dotazione (innata?) di sana “maniacalità” fa arrivare alcuni ad apprezzare il rischio, l’eccitazione della paura e le vertigini che la visione delle proprie indefinibili possibilità può generare.

 

Le dispense del top manager di FCA che i nostri studenti universitari maggiormente apprezzavano erano perlopiù metafore, in quanto Marchionne non aveva sistematizzato una “teoria manageriale”, ma aveva avviato e vissuto un processo di individuazione sulla propria pelle che, da Chieti, lo aveva condotto fino in Canada e poi in Svizzera, passando per l’Università di Toronto, dove ottenne la prima laurea in Filosofia, seguita da una laurea in Legge alla Osgoode Hall Law School of York University e da un Master in Business Administration presso la University of Windsor.

La sua formazione umanistica lo aveva avvicinato al pensiero di Albert Einstein, Karl Popper, Georg Wilhelm Friedrich Hegel, ma anche agli indigeni dell’Africa sub sahariana, contribuendo alla definizione di un “pensiero forte” sulla leadership che, appunto, essendo espressione della psicologia dell’individuo, che è unica e irripetibile come l’arte di un giardiniere, “non ha un’unica soluzione e non si può ridurre a una teoria manageriale. È qualcosa di più profondo che si evidenzia da un insieme di caratteristiche e comportamenti che hanno le loro origini nella mente e nel cuore delle persone, nei loro valori». 

 

È questa l’attestazione dell’importanza della personalità e della psicologia nei processi che governano l’economia mondiale, lo sviluppo delle imprese, le trasformazioni del mercato internazionale, i processi decisionali che possono trasformare le crisi in opportunità di sviluppo.

Sono fondamentali, infatti, per Sergio Marchionne, l’apertura mentale, la disponibilità nei confronti del nuovo, del diverso, la consapevolezza del fatto che «in ogni momento» è possibile «scegliere una nuova direzione, un nuovo obiettivo» in modo da non vivere “mai lo stesso giorno due volte” perché “è sempre possibile migliorare qualcosa”.

Sono questi gli insegnamenti più preziosi che Marchionne ha consegnato alle nuove generazioni, quelli che fanno riferimento ad un “pensiero divergente”, ad una attitudine dell’essere umano a liberarsi del “nient’altro che”, aprendo la mente al senso inesauribile della vita e delle sue possibilità: “Non so se la filosofia mi abbia reso allora un avvocato migliore o mi renda oggi un amministratore delegato migliore. Ma mi ha aperto gli occhi, ha aperto la mia mente ad altro».

 

È stata l’attenzione all’individualità, alla personalità, alle attitudini creative di una psiche prospettica a rendere Marchionne il leader che tutti, nel mondo, conosciamo, un manager che ha creduto che gli individui non dovessero subire il cambiamento ma dovessero cercarlo e anzi stimolarlo in se stessi come anche negli altri, perché credeva nella capacità straordinaria di uomini e donne manager di far emergere il meglio dalle persone favorendo la formazione di grandi squadre, capaci di “divergere”, ossia di farsi autentici interpreti di quel “pensiero divergente” che la psicologia ha posto alla base dei processi creativi della mente.

 

Marchionne, ad esempio, sarà ricordato come innovatore lungimirante anche grazie al rilancio su scala mondiale di un brand premium come Maserati con l’introduzione di modelli come la Ghibli e la motorizzazione diesel e in tempi più recenti anche il suv Levante. Su questa stessa spinta propulsiva verso l’ignoto delle possibilità del marchio modenese, era anche fiorito l’ultimo sogno condiviso con i suoi che era quello di voler portare il marchio Maserati in Formula 1 nel 2019 accoppiato alla Haas. Un suo sogno, del quale aveva appena accennato ai responsabili della squadra americana per la quale corrono Romain Grosjean e Kevin Magnussen. In tal modo avrebbe allargato la presenza del suo Gruppo a tre team, Ferrari, Alfa Sauber e Maserati Haas, conquistandosi un’influenza ancora maggiore nel business dei gran premi, con ricadute ovvie su regolamenti, progetti e tante altre cose che… soltanto sporgendoci oltre il limite della foglia, volgendo lo sguardo all’abisso delle nostre possibilità, possiamo – per dirla con Jung – “vagamente intuire”.

 

Dobbiamo imparare a fare le cose nel miglior modo possibile. Ma questo significa che dobbiamo cambiare noi stessi”  – disse ancora una volta agli studenti – perché “il mondo in cui viviamo é ogni giorno nuovo, la probabilità che il futuro sia la replica del passato é nulla”. Una affermazione che suona come un monito ad un impegno civile e di responsabilità del mondo adulto verso le nuove generazioni che devono essere poste nella condizione di poter “creare il mondo” partorendolo ogni nuovo giorno.

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