Senso/41

Il Sistema Sanitario Regionale tra disuguaglianze e vulnerabilità percepita

La tragica morte dell’uomo di Larino che non ha trovato tempestiva assistenza riporta all’attenzione il tema delle disuguaglianze per la salute che ha significative implicazioni sulla percezione di vulnerabilità sociale delle comunità.

Un tragico evento riportato di recente dalla cronaca locale, riguardante la morte di un giovane uomo di Larino che non avrebbe trovato nei servizi sanitari locali una tempestiva assistenza funzionale alla gravità del quadro clinico, ha riacceso il dibattito che ha interessato la Sanità regionale negli ultimi anni e che rimanda al complesso tema delle disuguaglianze sociali per la salute che in Molise non riusciamo ancora adeguatamente a fronteggiare su più fronti.

Malorni Nicola

Siamo consapevoli da anni, e col supporto di studi nazionali di rilievo, dell’esistenza di una estrema variabilità nell’accesso ai servizi sanitari in Italia, che nella nostra regione risulta prevalentemente legata all’offerta dei servizi stessi. Tale circostanza presenta, da una prospettiva psicologica – che è quella che prediligo in quanto psicologo – significative implicazioni sulla percezione di fragilità e vulnerabilità sociale delle nostre comunità.

 

La recente notizia, cui facevo pocanzi riferimento, ha amplificato in noi la percezione di una vulnerabilità sociale particolarmente suscettibile a scompensarsi a causa di condizioni ambientali sfavorevoli (dovute in particolare all’assenza o all’arretratezza dei servizi).

In quanto psicologo considero questo particolare sentimento – quello della vulnerabilità – tra i maggiori fattori di rischio per la salute umana, non potendo trascurare i processi sociali che ne sono all’origine e che possono generare, in maniera differenziale nella popolazione, stati morbosi e di malessere.

 

Ho ascoltato persone in questo periodo che manifestavano, in modo più esplicito a causa dell’evento specifico che ha avuto una profonda risonanza emotiva nelle comunità locali, un sentimento di insicurezza e di precarietà rispetto al sistema dei servizi, foriero di conflitti e sofferenze psichiche la cui origine non può essere di certo considerata come esclusivamente psicologica e individuale.

 

Dobbiamo riconoscere che è invece proprio nell’incontro della dimensione individuale e ambientale che si declina il “processo” di salute o di malattia di ogni essere umano. Voglio dire che le disuguaglianze geografiche e sociali rese manifeste da una vicenda che ha evidenziato le criticità di un sistema territoriale di assistenza sanitaria, troverà una corrispondente declinazione psicologica in un sentimento pervasivo di vulnerabilità che ha certamente un riverbero sullo stato di salute sia psicologica sia fisica della popolazione.

 

Il clamore suscitato dalla notizia non deve rischiare di focalizzare la nostra attenzione esclusivamente su uno specifico ambito di rischio per la salute dei cittadini (quello delle patologie neurologiche, per intenderci), portandoci a trascurare che in ambito sanitario e sociale gli stati di vulnerabilità e di disuguaglianza sono osservabili in relazione a molteplici condizioni di patologia o di rischio (malattie cardiovascolari, metaboliche, psichiatriche, oncologiche, cronico-degenerative).

 

La triste vicenda che ha colpito in particolare la comunità di Larino ci impone di considerare che le disuguaglianze nella salute, socialmente determinate ed evitabili, debbano essere considerate tra i principali criteri di orientamento delle scelte programmatiche nella sanità pubblica, non solo perché sono l’indicatore più sensibile per identificare situazioni in cui è possibile prevenire condizioni pericolose per la salute e per la stessa vita, ma anche perché si configurano come una fonte di ulteriori fattori di rischio (psicologici e sociali) per la salute generale degli individui.

Intendo dire che le disuguaglianze, attraverso l’implicazione di determinanti psicologiche, generano ulteriori disuguaglianze alimentando il processo di malattia della popolazione.

 

La letteratura scientifica (nazionale e internazionale) annovera tra i determinanti le disuguaglianze di salute in tutto il mondo: il livello di controllo percepito sul proprio destino, di autonomia e di capacità di cui si dispone per realizzarsi all’interno del proprio contesto sociale/ambientale; il supporto sociale e il riconoscimento del proprio ruolo più che il livello delle risorse possedute.

Più è bassa la posizione sociale, ad esempio, maggiore è l’esposizione ai fattori di rischio ambientali (come ad esempio la vicinanza a discariche o agenti inquinanti in generale), comportamentali (maggior prevalenza di comportamenti insalubri tra soggetti svantaggiati) e psicosociali (precarietà, bassa remunerazione, basso sostegno, scarse risorse per l’accesso a servizi).

 

I lettori ricorderanno sicuramente come la chiusura del Centro Clinico VATMA di Termoli decretò di fatto l’interruzione di 25 trattamenti psicoterapeutici per altrettanti bambini vittime di violenze, date le condizioni economiche che impedirono alle famiglie di recarsi settimanalmente presso i servizi di Neuropsichiatria del capoluogo di Regione.

 

La posizione sociale influenza il sentimento di vulnerabilità delle persone, ovvero sia la capacità di far fronte all’effetto sfavorevole di un fattore di rischio, prima che il danno insorga, sia la capacità di far fronte ad un problema di salute già conclamato, prevenendone gli esiti peggiori, sia modificando la velocità di progressione della malattia.

 

Le disuguaglianze in salute sono quindi influenzate anche da questa componente psicologica che può tradursi, tra i vari possibili esiti, in una diversa accessibilità ai servizi
sanitari.  La Inverse Care Law, ad esempio, è stata definita in letteratura per indicare la relazione osservata che lega sistematicamente ed in maniera inversamente proporzionale l’utilizzo dei servizi sanitari ed i bisogni per rispondere ai quali sono stati progettati: vengono utilizzati tanto meno i servizi laddove più ce ne sarebbe bisogno. Perché questo? Una bassa posizione sociale alimenta il sentimento di vulnerabilità e quindi aumenta la suscettibilità all’effetto del fattore di rischio, limitando la persona alle opportunità di prevenzione: i più poveri non solo si ammalano di più, ma chi è malato è più a rischio di impoverirsi, in alcuni casi per far fronte alle spese sanitarie che possono essere consistenti (si pensi ai bisogni assistenziali delle persone con disabilità o con patologie metaboliche o cronico-degenerative), in altri perché la malattia è una condizione predisponente per l’uscita dal mercato del lavoro e interferente con la mobilità sociale.

 

Ciò implica la necessità di considerare, nell’ambito del contrasto delle disuguaglianze sociali nell’accesso ai servizi sanitari della nostra regione e del conseguente sentimento di vulnerabilità, non solo l’offerta dei servizi, ma anche le componenti biologiche (età), cliniche (malattie, stato funzionale, livello di gravità del quadro morboso), psicologiche e sociali (debolezza sociale, empowerment individuale, capacità di fronteggiamento dei problemi) implicate nel processo di salute o di malattia.

 

Il sentimento di vulnerabilità non è, infatti, da considerarsi semplicisticamente legato all’arretratezza ambientale o alla fragilità (clinica) del cittadino, alla povertà (economica) o alla marginalità (sociale), ma è un fenotipo che ha determinanti ‘genotipici’ multipli che si possono identificare e valorizzare solo con un modello di tipo complesso.

Vi è quindi la necessità di porre, alla base delle programmazioni che investono l’assetto dei servizi sanitari regionali, non un ragionamento semplicistico centrato su standard numerici, quanto invece uno studio approfondito dei ‘livelli essenziali di assistenza’ che in un territorio possono essere adeguatamente declinati a partire da una riflessione che porti a identificare, classificare o misurare la fragilità clinica come le disuguaglianze sociali e ambientali della cittadinanza generale.

Mentre, infatti, si cerca di rispettare gli standard imposti dal Ministero come fossero la soluzione magica ai problemi dei cittadini, il sistema sanitario pubblico rivela tragicamente alla popolazione molisana una fragilità che è immediatamente percepita come “minaccia sociale”: non è un caso, infatti, se, dopo la notizia della morte del giovane di Larino, il nostro giornale ha recentemente riportato anche la notizia di una imminente chiusura del Punto nascita di Termoli, un evento che la popolazione vive come minaccia dal momento che, al di là dei numeri imposti dal governo, vi sono condizioni ambientali (la viabilità e la dotazione di risorse infrastrutturali in genere) che si sono già rivelate molto sfavorevoli soprattutto in circostanze di emergenza (parti pre termine). Rientreremo probabilmente con la chiusura del reparto di Ginecologia e Ostetricia di Termoli negli standard ministeriali, ma gli elenchi dei bambini disabili dei nostri centri di riabilitazione per patologie associate a cause perinatali si dilateranno.

 

Alla popolazione, ma anche alla statistica e agli studi di settore, è noto da tempo che l’incremento del potere economico di un territorio o di un Paese non ha necessariamente analoghi riscontri in un parallelo miglioramento dei parametri sociali e sanitari previsto da ottimistici e talora utopici approcci ragionieristici. E in un paese civile non dovrebbe essere la morte di un giovane uomo a ricordarcelo o l’arrivo di altri bambini con tetraparesi spastiche causate da anossie cerebrali in coincidenza di nascite pre termine non adeguatamente assistite.

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