Il caso

“Con noi sarà dittatura”, frase choc del consigliere M5S. Poi corregge il tiro: “Parlo a titolo personale”

Da Matteo Salvini che vuole schedare i rom, fingendo di ignorare che la Costituzione vieta distinzioni di razza, a Davide Casaleggio che invita a fare a meno del Parlamento in un futuro prossimo, fino a Luigi Di Maio, il quale solo qualche settimana fa aveva detto che “se la democrazia rappresentativa fallisce va sostituita con qualche altra cosa”. Tutte affermazioni che portano verso la stessa deriva enunciata questa mattina da Di Michele in Consiglio comunale.

Diceva Nanni Moretti in una celebre frase del film “Palombella rossa” che “le parole sono importanti”. Ancora di più in un periodo storico come questo, fra chi vuole “eliminare il Parlamento”, chi “chiude i porti”, chi definisce i gommoni carichi di immigrati “taxi del mare”. È per questo che non si può derubricare alla voce battute l’espressione detta oggi al microfono, nel bel mezzo del consiglio comunale, davanti a pubblico e stampa, dal consigliere comunale di opposizione Nick Di Michele: “Con noi sarà dittatura”.

 

L’unico esponente pentastellato attualmente presente nell’assise comunale termolese ha evocato la più opprimente delle forme di governo come risposta alle critiche che gli giungevano dai banchi della maggioranza. Una frase arrivata durante la discussione sul Piano spiaggia comunale, poi approvato, al termine di un discorso in cui Di Michele, come è solito fare, accusava la maggioranza di favorire questo o quell’altro.

 

Poi, improvvisamente, quella frase. L’effetto che ha destato è stato come uno schiaffo quando meno te l’aspetti. Qualcuno dei consiglieri ha chiesto a mezza bocca se per caso era una minaccia, se fosse il caso di avere paura. Qualcun altro è rimasto semplicemente basito. Dal pubblico, per una volta piuttosto numeroso, nessuno che abbia accennato una reazione di sdegno. E nemmeno di sorpresa.

 

Eppure una frase di questo tipo solo qualche anno fa avrebbe alzato un polverone. Quando Berlusconi accusava i giudici di essere un cancro della democrazia, tanto per fare un paragone, gli strali dell’opinione pubblica piovevano come fulmini in una tempesta. Oggi nessuno che ha osato dire alcunché, anzi qualcuno sembrava persino approvare. “La dittatura l’avete fatta voi della maggioranza” hanno bisbigliato dal pubblico.

 

Si dirà: “È una battuta, che vuoi che sia?”. No, non lo era. Per diversi motivi. Ancor prima di lasciarsi scappare quella frase, lo stesso Di Michele aveva affermato all’alba del consiglio comunale, denotando scarsa attitudine democratica, di non avere “nulla a che fare con questo consiglio”. Ma un consigliere comunale di opposizione è parte integrante e fondamentale dell’Amministrazione pubblica. Non ci si può candidare a elezioni democratiche e poi dire, come ascoltato in tempi recenti da chi scrive, di “non riconoscersi nel consiglio comunale”. Vuol dire avere un concetto distorto della democrazia o non riconoscerla affatto.

 

Dopo quanto accaduto oggi, viene il sospetto che la seconda ipotesi sia più fondata. Frase che il consigliere comunale ha provato a sminuire successivamente quando il sindaco Angelo Sbrocca ha giustamente scelto di non farla passare sotto silenzio. “Lei ha parlato di dittatura, è una cosa di una gravità inaudita e i cittadini devono ricordarselo”. Dall’altra parte Di Michele ha provato a correggere il tiro: “È un modo di dire, l’ho detto perché mi avete davvero fatto incazzare”. Ma Sbrocca ha insistito: “Le chiedo se è una sua considerazione o del movimento che rappresenta”. “L’ho detto a titolo personale” la replica del pentastellato.

 

Il problema è che le esternazioni di Di Michele giungono in un contesto preoccupante per chi ha a cuore le sorti dello stato di diritto. Ogni giorno dalla maggioranza che governa questo Paese si sentono a vario titolo affermazioni che stridono con settant’anni di Repubblica e di democrazia.

 

Si comincia con Matteo Salvini che vuole schedare i rom, fingendo di ignorare che la Costituzione vieta distinzioni di razza, si passa per Davide Casaleggio che invita a fare a meno del Parlamento in un futuro prossimo, fino a Luigi Di Maio, il quale solo qualche settimana fa aveva detto che “se la democrazia rappresentativa fallisce va sostituita con qualche altra cosa”. Tutte affermazioni che portano verso la stessa deriva enunciata questa mattina da Di Michele.

 

La democrazia è un’altra cosa. La democrazia è, per dirlo anche al ministro della Famiglia Lorenzo Fontana, non condividere le ragioni del Gay Pride ma consentire lo stesso che si tenga, nel rispetto delle regole. La democrazia è rispettare le opinioni altrui, contrastarle con tutte le proprie forze consentite dalla legge, ma riconoscerne la legittimità. Auspicare una dittatura perché le proprie ragioni non trovano sbocco nel processo democratico è un passo pericoloso che apre a scenari di deriva.

 

Purtroppo il rischio è che ancora una volta si pensi di poter sminuire quanto successo. Ma ciò che si dice in un consiglio comunale ha un valore altissimo, o almeno dovrebbe averlo. Succede però che la funzione di questo strumento democratico sia oramai sottostimata. La colpa è anche di un diffuso atteggiamento che svilisce la pratica del confronto democratico e lo trasforma in una sorta di farsa.

 

Per dirla più a chiare lettere: se in un consiglio comunale come quello di Termoli chiunque è autorizzato ad alzarsi quando gli pare per andare a chiacchierare con questo o quell’altro, chiunque può parlare, urlare, utilizzare il dialetto senza microfono, chiunque può entrare o uscire dall’aula sgranocchiando snack o pizzette, come si può pretendere che il linguaggio assuma la serietà che manca al comportamento?

 

Un discorso che vale per molti, per fortuna non per tutti, perché c’è ancora qualcuno che considera il consiglio comunale un luogo sacro per la democrazia. Così come non vale per tutti, ma per molti, la sottolineatura sull’inconsistenza dell’opposizione. Come si può essere in cinque (!) all’ultima discussione sul progetto che promette di rivoluzionare Termoli? Quasi la metà degli esponenti di opposizione era altrove, evidentemente per impegni più importanti. Sembra quasi che la funzione dell’opposizione in questa Amministrazione sia la semplice presa di posizione “io non sono d’accordo con Sbrocca”.

 

Tutto questo non può essere taciuto. È per questo che oggi primonumero.it decide di fare proprio l’appello recentemente lanciato dallo scrittore Roberto Saviano. “Oggi le persone pubbliche, tutte le persone pubbliche, chiunque abbia la possibilità di parlare a una comunità deve sentire il dovere di prendere posizione. Non abbiamo scelta. Oggi tacere significa dire: quello che sta accadendo mi sta bene. Ogni parola ha una conseguenza, certo, ma anche il silenzio ha conseguenze, diceva Sartre. E il silenzio, oggi, è un lusso che non possiamo permetterci. Il silenzio, oggi, è insopportabile” ha scritto l’intellettuale sotto scorta da più di un decennio.

 

Oggi chi scrive sente forte quell’esigenza. E sente allo stesso modo la necessità di rilanciare quell’appello, rivolgendolo prima di tutto agli amministratori pubblici molisani, di qualsiasi parte politica, e poi ai cittadini, tutti, perché si tratta di una questione che riguarda tutti.

 

“Il tempo per restare nelle retrovie è finito” ha affermato Saviano. “La barbarie susciti indignazione” ha rimarcato con forza ieri il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Se non siete d’accordo con quanto succede o con quanto viene detto o scritto sui social, se siete preoccupati dall’imbarbarimento del linguaggio che giocoforza anticipa l’imbarbarimento dei comportamenti, questo è il momento di dirlo. È il momento di squarciare il velo dell’indifferenza di cui si nutrono l’odio e l’intolleranza.  Domani, dopo, potrebbe essere già troppo tardi.

commenta