Siamo quello che mangiamo/1

Tutti ne parlano, pochi la fanno: la vera dieta mediterranea

Da oggi la nuova rubrica di Primonumero.it del biologo nutrizionista Silvio Nanni che parla di alimentazione, usi e costumi a tavola, miti da sfatare e obiettivi da perseguire per stare bene in una terra, come il Molise, dove mangiare sano è più una illusione che realtà. In questa prima puntata focus sulla dieta mediterranea e il corretto apporto di valori nutrizionali. La sorpresa: non c’entra niente con quello che crediamo di sapere. E che portiamo a tavola....

“La nostra alimentazione è la migliore perchè noi seguiamo la dieta mediterranea!” Mi è capitato spesso di sentire questa frase e sorridere sotto ai miei baffi da nutrizionista.
E se vi dicessi che in Italia in generale, e in Molise in particolare, la nostra alimentazione si sta discostando sempre di più dal modello della dieta mediterranea?
E se vi dicessi che non basta abitare in un luogo bagnato dal mar Mediterraneo e condire i cibi con olio extravergine di oliva per seguire il famoso modello alimentare?

La prima cosa sconvolgente da dire è che il modello della dieta mediterranea non è stato elaborato da un italiano, nè da un greco e tanto meno da uno spagnolo ma da un medico statunitense. Tale Ancel Keys che, alla fine degli anni Quaranta, in seguito a una breve esperienza da militare in un paese del Cilento, si accorse di come l’incidenza delle malattie cardiovascolari fosse molto più bassa in alcune popolazioni del mar Mediterraneo rispetto alla popolazione degli Stati Uniti.

Keys proseguì per anni le sue ricerche, che culminarono con la pubblicazione del libro “Eat well and stay well, the Mediterranean way”. Questo libro nacque dal famoso “Seven Countries Study”, uno studio epidemiologico che per due decenni monitorò dieta e condizioni di salute di 12.000 persone di età compresa tra i 40 e i 60 anni, residenti in diversi Paesi come Giappone, USA, Olanda, Jugoslavia, Grecia, Finlandia e Italia.

Keys si proponeva di confrontare popolazioni con tradizioni alimentari, stili di vita e incidenza di malattie cardiovascolari molto lontani tra loro.
I partecipanti allo studio furono seguiti per circa venti anni e i risultati mostrarono come il consumo di grassi saturi era fortemente correlato all’aumento della colesterolemia e alle malattie cardiovascolari. Al contrario un aumento dei rapporti grassi poli-insaturi/saturi e mono-insaturi/saturi mostrava una diminuzione dell’incidenza di malattie cardiovascolari e della mortalità per cardiopatia ischemica.

L’apporto elevato di grassi monoinsaturi rifletteva una preferenza nell’uso di olio di oliva, tipico delle aree mediterranee, rispetto all’uso di grassi saturi come burro o strutto.
I migliori risultati in termini di salute furono riscontrati nella popolazione dell’Italia meridionale (Calabria e Cilento) oltre che nelle popolazioni di Creta, Corfù e della Dalmazia.

In definitiva, il modello nutrizionale si basa sulla dieta della popolazione rurale dell’Italia meridionale del secondo dopoguerra. La situazione economica e sociale precaria si rifletteva in un’alimentazione frugale costituita prevalentemente da cereali, cibi di origine vegetale, olio d’oliva, legumi, poco formaggio, poco pesce e pochissima carne. Inoltre, il lavoro nei campi e l’assenza di mezzi di trasporto portavano a una notevole attività fisica e a uno stile di vita molto diverso rispetto a quello attuale.

Proprio le cattive condizioni economiche impedivano di avere tutti i giorni sulla propria tavola carne e grassi saturi e non consentivano di eccedere nell’apporto calorico.
Nel 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) pubblicò uno studio che confermò i risultati del “Seven country study” sul rapporto tra dieta e prevenzione delle malattie croniche.

Negli anni successivi venne elaborata, e più volte migliorata, la cosiddetta “Piramide della dieta mediterranea”, uno schema che ci mostra anche graficamente gli alimenti da preferire e quelli da consumare con parsimonia al fine di seguire il modello alimentare.
Alla base della piramide troviamo i cereali (preferibilmente integrali) che, con le patate, rappresentano una fonte abbondante di carboidrati complessi e di fibra. La frutta andrebbe assunta in dosi di circa 2-3 porzioni al giorno, gli ortaggi e le verdure sono consigliati invece in abbondanza.
Ortaggi e verdure contengono fibra, vitamine e sostanze antiossidanti, al pari dell’olio d’oliva che però deve essere consumato con moderazione poichè è molto calorico.

Quindi, si potrà smettere di far galleggiare l’insalata nell’olio con la scusa che l’olio di oliva fa bene. Ripeto, l’olio extravergine di oliva, meglio se biologico, è salutare ma in quantità moderate.
Nella piramide troviamo yogurt e latte da consumare giornalmente.
Tra gli alimenti più importanti ci sono i legumi che rappresentano un’ottima fonte di proteine vegetali.
Al centro della piramide alimentare troviamo gli alimenti da consumare 2-3 volte a settimana come il pesce, le carni bianche, i formaggi (soprattutto freschi).
Da assumere con parsimonia le carni rosse e ancora più raramente le carni trasformate (salumi e affettati).
Al vertice della piramide ci sono gli alimenti da consumare con estrema moderazione: zuccheri, dolci, salse, grassi animali (burro).

Le porzioni della dieta mediterranea sono costituite da: 55-60% di carboidrati di cui la gran parte complessi (pane/pasta integrale, riso, mais); 10-15% di proteine, preferibilmente di origine vegetale; 25-30% di grassi, preferendo l’olio extravergine di oliva come condimento dei cibi.

Nella piramide, in seguito, è stato aggiunto il consiglio di praticare attività fisica giornaliera in modo da tenere l’indice di massa corporea (BMI) al di sotto di 25 kg/m².

In conclusione, considerando che i nostri amatissimi caciocavallo, pampanella e ventricina non fanno esattamente parte della dieta mediterranea, che mediamente mangiamo di più dei contadini calabresi del dopoguerra e che prendiamo l’automobile anche per fare 200 metri….quanto si discosta la nostra alimentazione dalla dieta mediterranea originale?

Certamente le condizioni socio-economiche sono mutate e di conseguenza anche l’alimentazione e lo stile di vita ma forse stiamo andando nella direzione sbagliata.
Probabilmente stiamo facendo il viaggio contrario rispetto a quello fatto dal medico americano Ancel Keys e stiamo spostando le nostre abitudini alimentari sempre più verso quelle delle popolazioni statunitensi…eppure è stato proprio un americano a dimostrare la natura protettiva per la salute dell’alimentazione dell’Italia meridionale di qualche anno fa.
Nel 2010 l’Unesco ha incluso la dieta mediterranea nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. Ora tocca a noi mantenere viva quest’importante eredità che i nostri nonni ci hanno lasciato.

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