Pesca: crisi nera e nessuno spiraglio. 3 barche demolite, boom di domande per “morire”

Tre i pescherecci della flottiglia termolese che a breve non esisteranno più perchè beneficiari del premio di arresto definitivo della Comunità Europea, particolarmente ambito dagli armatori termolesi che non ce la fanno più a portare avanti l’attività per i costi alti e una gestione problematica. Uno, il "Nonno Nicola", distrutto nel cantiere nelle scorse ore. Altri due in attesa della ruspa: "Giobbe" e "maretto e Beniamino". Il paradosso è che il fondo premia le barche più grandi e più nuove, e che a Termoli le domande sono state di oltre la metà del numero della intera marineria. Gli altri non hanno potuto fare richiesta perchè non è in regola con documentazione e multe.

La ruspa è implacabile: colpisce lo scafo, lo spacca, lo squarcia. Fa a pezzi l’armatura, riduce a un mucchio di legno e ferro quella che era una barca. Uno dei pescherecci più grandi – e più nuovi – della flottiglia termolese. Il “Nonno Nicola”, di Pierluigi De Palma, muore così, sotto i colpi meccanici, nel cantiere dove il 3 maggio è partita la demolizione. Aveva 33 anni, una vita trascorsa in mare a pesca. Quella pesca che oggi non solo non conviene più, ma significa solo sacrifici e sudore.
«Non c’è guadagno, e noi non ce la facciamo ad andare avanti» il commento unanime degli armatori. L’insofferenza prevale sul dolore. E anche il “padrone” di “Nonno Nicola”, primo in graduatoria fra quanti hanno chiesto di accedere al premio della Comunità Europea cosiddetto “di arresto definitivo” non versa lacrime. La barca, anche per lui, era diventata solo fonte di sofferenza e preoccupazioni. Così quando è arrivata la risposta alla domanda di avere il contributo per cessare l’attività, la soddisfazione ha preso il posto del dispiacere.
Sarà lo stesso anche per i fratelli Marone e Beniamino Recchi e per i titolari della Coop d’Armamento Op San Basso. I loro pescherecci, “Maretto e Beniamino” e “Giobbe”, faranno la stessa fine a breve.
Sono tre le barche della grande pesca che hanno diritto al denaro messo in palio dal Fondo Europeo degli Affari marittimi della pesca per gli anni 2014-2020. E’ stato reintrodotto nello scorso ottobre con un bando destinato a quanti vogliono cessare l’attività in mare. Un bando che torna dopo 15 anni. «L’ultima demolizione di un peschereccio a Termoli risale al 2004» dicono dall’Associazione Armatori, della quale fanno parte le tre imbarcazioni che hanno ottenuto il contributo per la demolizione.
Ma le domande sono state molte di più. Dieci gli armatori che hanno chiesto di accedere al Fondo di Arresto definitivo. Soltanto in tre sono rientrati nei requisiti richiesti, che privilegiano la stazza e l’età. Il paradosso è questo: più la barca è grande e nuova, più è facile avere soldi per demolirla.

«In passato, con il decreto ministeriale del 2000 che regolava le modalità di attuazione della misura di arresto definitivo – spiega un socio dell’Associazione Armatori della Pesca – si è usato un criterio per diminuire lo sforzo di pesca. Ma oggi le condizioni sono molto diverse e ci ritroviamo a demolire barche nuove». Come “Nonno Nicola”, appunto.
Come le altre barche termolesi che stanno per morire. «Praticamente – tirano le somme gli associati della Armatori – chi ha un’imbarcazione vecchia, poco competitiva e che negli anni è stata costretta ad accumulare debiti con l’erario per far fronte alla difficile situazione economica, e che magari aspettava la demolizione per poter chiudere l’attività in perdita e con il premio pagare tutti i suoi debiti, non ha potuto accedere al premio. Questo perché ciò non rappresenterebbe una riduzione dello sforzo di pesca, dato che questa impresa è già destinata a morire di suo».

«Ma non ci uccide la ruspa – dicono i pescatori – bensì il rezzo del gasolio, raddoppiato in pochi anni, e una gestione intollerabile, che prevede un impegno grande in mare ma anche una organizzazione a terra con nome sempre più stringenti». Basta un merluzzo più piccolo della “taglia minima” prevista dalla legge per far scattare multe salatissime. Non è un caso se metà della flottiglia termolese, che per la grande pesca conta su circa 24 imbarcazioni, non ha potuto partecipare al bando di Arresto definitivo. «Documenti non in regola, tra Durc e Inail. E multe, multe, multe non pagate. Il bando esclude chi ha questo tipo di problema», cioè chi non è in linea con i requisiti di idoneità fiscale.

La crisi è nera, così nera che la demolizione è vista come una “manna dal cielo” per abbandonare “finalmente” il lavoro di pescatore «che in Italia nessuno vuole più fare». Per pescare, in un posto come Termoli, servono almeno 3mila euro al giorno di nafta. «E non basta – aggiungono gli armatori – avere il personale di bordo, l’equipaggio. Serve una gestione a terra strutturata, serve quello che fa le etichette, le comunicazioni al ministero, le regole sono troppo rigide». E quello che è peggio è che «non sono applicate nella stessa maniera in tutti gli Stati. In Italia siamo messi male, peggio di tutti». Sotto accusa le “regole di pesca”, che non sono le stesse per entrambi. Gli Armatori di Termoli puntano il dito contro quelle croate «che pescano molti più giorni e soprattutto anche di sabato e domenica. E’ facilmente comprensibile come le prospettive economiche per la pesca italiana non siano delle migliori».

Tanti, troppi problemi per un settore che soffre «in un Paese, come l’Italia, in cui sembra che questo non interessi a nessuno. La dimostrazione è che ai Tavoli non ci siamo noi pescatori, ma falsi rappresentanti di categoria che certo non migliorano il quadro generale».
Le demolizioni rientrano in questo scenario. E la conseguenza sarà una perdita ulteriore di competitività della flotta Italiana nel Mar Adriatico: sempre meno imbarcazioni italiane, che saranno sempre più vecchie e che però dovranno competere con quelle sempre più nuove della Croazia.
Perciò nemmeno una lacrima sul volto degli armatori che assistono alle demolizioni. Nemmeno una lacrima, perché «non si piange la morte di un mestiere che rischia di ucciderti».

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