Senso/25

La cura della gentilezza in Brunello Cucinelli

Lo stilista e imprenditore umbro Brunello Cucinelli ha saputo attingere nella sua vita all'inesauribile risorsa emozionale della gentilezza trasformando la sua impresa in un contesto organizzativo promotore di benessere e di bellezza. Nel suo “Capitalismo neoumanistico” ci ha fatto comprendere come l’affettività possa concorrere a creare le condizioni giuste per uno stato di salute ottimale degli individui anche all’interno di attività economiche.

Accade regolarmente nel mio lavoro di psicologo di osservare come la vita dei miei pazienti cominci ad un certo punto ad allearsi con la buona sorte; una costellazione di eventi esterni ed interni favorevoli sembrano promuovere, finalmente, lo sviluppo e l’armonia di quell’individuo, adulto o bambino, o del gruppo di lavoro o della famiglia.
Nel 2012 l’American Psychological Association ha approvato una risoluzione riguardante l’efficacia generale della psicoterapia nella quale si afferma che gli effetti della psicoterapia sono ampiamente riconosciuti come significativi e i diversi modelli esistenti in genere producono risultati relativamente simili grazie ad un fattore comune: la qualità della relazione terapeutica. Pratico ormai questa professione da quindici anni e posso affermare con convinzione che la qualità della relazione umana è lo strumento fondamentale di trasformazione in ogni ambito, non solo in quello psicoterapeutico. Ogni dimensione della vita umana (da quella affettiva a quella lavorativa o organizzativa) è sotto l’influenza di questo aspecifico fattore di sviluppo che, fondamentalmente, si declina nella “capacità di amare”.

Il potere trasformativo della relazione umana è al centro dell’attenzione di molti studiosi afferenti al mondo della psicologia, delle neuroscienze, della filosofia, dell’economia, della politica, delle religioni. L’individuo capace di amore e destinatario d’amore è persona gentile, appassionata, motivata, curiosa, capace di meravigliarsi, empatica, sensibile, generosa e grata. E la gentilezza è la prerogativa più importante in una relazione di aiuto fondata sull’amore, è un atto di amore e di rispetto che aiuta a creare una dimensione relazionale gradevole in cui possa crescere la speranza e prosperare la felicità.

La gentilezza, inoltre, migliora non solo gli altri ma anche se stessi se, ovviamente, non è soltanto una ostentazione di sorrisi ma è una “coltura” quotidiana, costante e certa, di tenerezza, bontà e compassione. Ma perché la gentilezza sia autentica e realmente pervasiva va coltivata dopo aver adeguatamente bonificato il terreno di coltura. Fondamentale per uno psicologo, ad esempio, è il lavoro psicoterapeutico su se stesso (un lavoro di bonifica) e l’esercizio continuo, quotidiano, dell’introspezione (la coltura vera e propria), così da rendere la gentilezza un’attitudine pervasiva che non riguarda soltanto la relazione con gli altri, ma prima di tutto quella con se stessi. Credo che questo approccio alla relazione debba interessare chiunque si occupi di “cura” dell’essere umano: dal genitore all’insegnante al dirigente di un’azienda, ognuno nei limiti delle proprie competenze e prerogative.

Mi ha molto appassionato la storia dello stilista e imprenditore umbro Brunello Cucinelli, un orgoglio tutto italiano dedito da decenni alla produzione del cashmere, con una laurea honoris causa in Filosofia ed Etica delle relazioni umane conferitagli dall’Università degli Studi di Perugia, il quale nel 2012, dopo un proficuo anno in borsa, decise di dividere gli utili (circa 5 milioni di euro) tra i suoi 738 dipendenti, un premio – così lo ha definito – “a chi egregiamente svolge il proprio mestiere”.

La coltura del cashmere è stata in Cucinelli l’esteriorizzazione di una coltura ben più profonda che riguarda proprio la gentilezza e la bellezza dell’anima perché la sua fortuna e il benessere organizzativo della sua impresa sono stati fondati sul sogno giovanile di un “lavoro rispettoso della dignità morale ed economica dell’uomo”.

Con il suo “Capitalismo neoumanistico” Cucinelli ci ha fatto comprendere come l’affettività possa concorrere a creare le condizioni giuste per uno stato di salute ottimale degli individui anche all’interno di attività economiche. Più forti sono i legami affettivi all’interno dei gruppi, delle comunità o delle organizzazioni, maggiori sono le possibilità di sopravvivenza e di benessere.

Pensate quanto possa essere importante investire come Cucinelli sul “capitale umano” nelle famiglie, nelle scuole o nei contesti lavorativi: nel 1997 il “re del cashmere” ha affermato di aver restaurato una fortezza, alcune case circostanti e di aver allocato lì la loro azienda, ricreando un “villaggio rinascimentale dove si lavora con affreschi alle pareti, il cotto, le travi di legno, e nessuno timbra il cartellino”.

Uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Oxford nel 2016 ha dimostrato che l’esercizio della gentilezza verso gli altri genera un significativo miglioramento del benessere individuale, riducendo finanche il rischio di malattie e disturbi di diversa intensità, fisici e psicologici. Infatti, risulta che un atto di gentilezza spinga il corpo a produrre endorfine (gli analgesici naturali del corpo), e i problemi di salute legati allo stress migliorano a seguito di buone azioni. Diminuiscono i sintomi della depressione, migliora il contatto sociale, le ostilità si placano e si riduce anche l’isolamento. Vi sono anche evidenze di riduzione della pressione arteriosa grazie alla capacità della gentilezza di favorire la produzione di ossitocina, l’ormone responsabile del rilascio di ossido nitrico, che dilata i vasi sanguigni.

Grazie alle proprietà dell’ossitocina, quindi, possiamo dire che la gentilezza è un ottimo cardioprotettore naturale. Un vero toccasana, la gentilezza, che tra l’altro non costa nulla.

Senza mai citarla, Cucinelli ha saputo attingere nella sua vita a questa inesauribile risorsa emozionale trasformando la sua impresa in un contesto organizzativo promotore di benessere e di bellezza. Conosciamo, invece, molti luoghi (dalle famiglie alle scuole ai contesti lavorativi ecc.) dove domina l’emozione antagonista della gentilezza e del benessere, causa primaria di gran parte del disagio collettivo attuale, ossia l’invidia. Si tratta di un’emozione molto comune che tendiamo a non dichiarare e a non ammetere neanche a noi stessi, per non rivelare, evidentemente, il sentimento profondo d’inferiorità che rivela.

Quando questa emozione diviene predominante, l’individuo non si sente mai soddisfatto di se stesso, tende a non percepire o a negare i propri limiti mentre riconosce negli altri doti e riconoscimenti che vorrebbe possedere egli stesso, vivendo questa disparità come una ingiustizia e spesso ricorrendo a difese di svalutazione, denigrazione, giudizi etero-svalutativi che mirano a danneggiare la persona invidiata o la sua immagine.

Quando l’esistenza umana o la vita in un contesto organizzativo o nella comunità in genere è contaminata da vissuti emozionali di questo tipo non vi è possibilità di instaurare relazioni positive con gli altri e quindi processi creativi e produttivi, essendo la dimensione affettiva bloccata da sentimenti come il risentimento, l’astio e la vergogna. A catena, si innesca quindi un circuito di stati emozionali che alimentano a loro volta sentimenti di insicurezza, scarsa fiducia di sé, bassa autostima e tendenza ad attribuire successi e insuccessi a cause esterne a sé, come la fortuna o la sfortuna, l’ingiustizia e la sopraffazione dell’Altro, il Male assoluto proiettato sul mondo.

Eppure, esiste anche una possibile funzione positiva di questo “ospite difficile” se l’individuo è in grado di riconoscere in esso un bisogno di completamento o di crescita o di integrazione di tratti di personalità o aspetti della vita che, anziché essere proiettati all’esterno, sugli altri, potrebbero essere ricercati e scoperti all’interno di sé. In questo modo, l’invidia può trasformarsi in una feritoia attraverso la quale riconoscere sull’Altro le qualità che anche noi vorremmo avere, può mutare la sua natura da svalutazione distruttiva a sana ammirazione e diventare così il carburante utile alla realizzazione dei sogni e delle aspirazioni. Alla frustrazione e alla denigrazione dell’Altro, subentrano in questo modo il confronto, la crescita e l’arricchimento di sé.

La gentilezza verso il mondo che tanto bene fa, dunque, va prima di tutto esercitata verso noi stessi, e in particolare verso questa nostra emozione “scomoda”: occorre dunque che accogliamo la nostra invidia nelle stanze della nostra coscienza; quindi, dovremo provare a dialogare con essa per conoscere meglio i limiti che saprà indicarci e, infine, inizieremo a prenderci cura delle nostre segrete aspettative.
Jung ci ha esortati ad assumerci una piena e totale responsabilità verso l’anima che equivale ad intavolare con lei un discorso, un discorso che sostituiremo al pettegolezzo, alla svalutazione, alla rassegnazione e alla attribuzione di cause al prossimo e alla sfortuna – a beneficio nostro e della Bellezza del mondo.

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