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Il telecronista Mediaset che vive di Juve e si rilassa in Molise. E sulla partita di Cardiff…

Antonio Paolino è la voce delle telecronache da tifoso della Juventus per Mediaset Premium. Da anni trascorre le vacanze a Petacciato dove tanti lo conoscono e lo apprezzano per la cordialità e la disponibilità. «Qui si vive senza stress, senza l’ansia del parcheggio o del divertimento a tutti i costi. Vedo voglia di fare meglio e darei spazio ai giovani». Poi racconta di come ha iniziato con la radio e ha trovato notorietà con La7Gold «a cui devo molto, ma non c’era niente di preparato». E sulla Vecchia Signora regala qualche chicca: «La 10 a Dybala è un po’ una sorpresa, mentre nell’intervallo della finale di Champions League qualcosa è successo, sono crollati degli equilibri che erano appesi a un filo».

A vederlo passeggiare su viale Pietravalle nelle sere d’estate a passo lento, quasi strascinato, non si direbbe possa essere lo stesso che nelle notti d’inverno “entra” nelle case dei sostenitori juventini gridando i nomi di Higuain, Dybala e compagni tramite le sue telecronache da tifoso per Mediaset Premium. Lui è Antonio Paolino, giornalista professionista dal 1999 e da tempo innamorato del Molise. O meglio, di un posto in particolare della nostra regione, Petacciato.

Ma che ci fa qui un torinese che di mestiere fa il giornalista?
«Ho origini del sud, mamma lucana e papà della provincia di Foggia. Tutto nasce tantissimi anni fa quando uno zio a cui ero molto legato si trasferì a Termoli per lavorare in Fiat. Erano gli anni Settanta o Ottanta e d’estate andavamo a trovarlo».

E Petacciato come viene fuori?
«Cercavamo qualcosa di meno caotico, vivendo in città. Passando per Petacciato abbiamo trovato il posto per una vacanza tranquilla. I miei genitori ci venivano col nipotino, adesso io e la mia famiglia abbiamo casa qui e veniamo quasi tutte le estati».

Tanto da esserti fatto conoscere a una edizione del Torneo San Rocco di qualche anno fa. Una competizione in cui chiunque può giocare una partita di calcio a 11 nel pomeriggio della festa patronale.
«Sì, conobbi persone che non avevano nulla a che fare col calcio (sorride, ndr) ma con le quali avrei preso volentieri un caffè. Compreso l’attuale sindaco che si presentò con due ginocchia fasciate quella volta».

Cosa ti piace di questo posto?
«Sono una persona che ha una dimensione umana, di chi sta sempre a contatto con la gente. Per questo ho la volontà di vivere venti giorni di relax totale, senza l’animatore attaccato, senza l’assillo di trovare parcheggio o di cercare il massimo del divertimento. Qui c’è il giusto mix fra mare e tranquillità, non è al centro delle attenzioni del turismo di massa. Si vive serenamente senza troppo stress».

Una vita totalmente diversa da quella che fai nel resto dell’anno probabilmente. Una vita divisa fra tv, web, radio.
«Sì, dall’anno scorso sono la voce delle telecronache tifose per Mediaset Premium. Nel frattempo sono anche direttore del sito junews24.com e collaboro con tuttosport.com. Prima ho fatto radio, iniziando con uno zio che mi chiese di prendere il suo posto per seguire Juve e Toro. Debuttai quasi per caso nel ’92 o ’93 grazie a una malattia di chi faceva le radiocronache e per il quale facevo l’assistente. Era una gara di serie B, un Torino-Treviso di cui non ricordo nemmeno di che colore erano le maglie. Poi da lì mi feci conoscere, iniziarono le collaborazioni con Rtl, Radio capital e quindi la tv con La7Gold».

L’emittente che ti ha dato la prima notorietà a livello nazionale, almeno fra i tifosi più accaniti.
«A La7Gold devo tantissimo, è quella che io chiamo gavetta. Sono passato dai primi esordi balbettanti, in mezzo a vecchi volponi capaci di gestire molto meglio di me le situazioni alle esperienze che mi hanno permesso di approdare a Mediaset».

A La7Gold il pubblico impazzisce per le polemiche, le esultanze incontenibili, gli sfottò fra tifosi. Ma è tutto vero o vi preparate prima?
«Si improvvisa tutto, una puntata è la sintesi dell’umore dei presenti quel giorno».

Quanto è stato difficile passare dal commentare partite in studio insieme ad altri giornalisti tifosi a fare le telecronache dirette per una emittente prestigiosa e conosciuta come Mediaset?
«Pensavo di avere maggiori difficoltà e un’accoglienza fredda, invece non è stato così. Ho trovato invece grande rispetto per il professionista. Per me è stato gratificante vedere i registi ridere al termine del mio provino, perché io sono così, non voglio scimmiottare nessuno. Preferisco essere me stesso, rispettando gli altri o al massimo non considerarli. Penso a tifare favore e non contro».

È difficile mantenere un equilibrio pur sapendo che si sta facendo giornalismo da tifosi di una squadra?
«Ho imparato dai miei maestri che è sbagliato negare la propria fede. È molto peggio fingere di non parteggiare quando poi si capisce facilmente. Ogni tanto c’è un freno, ma non sono uno di quelli per i quali è sempre rigore per la Juve. Ci tengo alla vittoria ma non a tutti i costi».

Un giornalista per tanti media diversi. Come si fa?
«Sai bene che oggi fare il giornalista non vuol dire sommare tanti stipendi ma portarne a casa uno. Io ho iniziato in radio, che è una palestra incredibile. Ti dà i tempi, cosa che in parte avevo visto che ho fatto l’animatore nei villaggi. La tv ti fa capire cosa non devi fare mentre parli, ti fa stare più concentrato sul look. Poi ci sono questi strumenti moderni come i social che devo un po’ digerire. Siamo un po’ tutti giornalisti ormai, ma la credibilità è molto importante e passa da chi scrive. L’esperienza del web è molto bella, faccio un po’ da guida a una redazione virtuale di giovani giornalisti».

Qualche domanda sulla Juve non si può evitare. Partiamo da Cardiff, come sta il tifoso dopo quella batosta in finale di Champions League?
«Sono uno che cura molto gli effetti post gara e in quella occasione ho avuto il privilegio di raccontare la partita da una postazione prestigiosa. Devo dire che la ferita è stata amara e profonda e coincide con quella dei tifosi che non sanno spiegarsi cosa è successo».

Che idea ti sei fatto?
«Visto l’1-1 del primo tempo, pur riconoscendo la forza del Real Madrid, non può quella forza ad aver piegato la Juve in quella che è stata la peggior finale della sua storia, dopo un’annata in cui le cose sembravano girare per il verso giusto. Non ho letto eccessive critiche, ma tutti cercano il reale motivo. Ma non ce n’è uno e non può essere un quarto d’ora ad alterare i valori».

È successo davvero qualcosa negli spogliatoi?
«Penso sia successo qualcosa a livello di dinamiche che si tenevano su un filo. Qualche battibecco ci sarà stato, affiorando la stanchezza e la superiore capacità tecnica avversaria è crollata la convinzione e di sicuro qualcuno come Pjanic o Mandzukic non stava bene».

E su Bonucci?
«È qualcosa che si trascinava da tempo, il mal di pancia suo è iniziato da prima della partita col Porto, l’ha detto anche lui. L’abbiamo capito anche da Dani Alves che aveva un altro modo di concepire il calcio e sicuramente dava fastidio a chi stava in panchina e non aveva le sue stesse libertà. Si era creato un alone di ottimismo controproducente per quel tipo di finale. Il Real Madrid ha giocato in maniera lineare e Zidane l’ha preparata bene».

Andiamo oltre. La maglia numero 10 a Dybala è un bene?
«Spero non sia come per Pogba, ma capirei se in futuro volesse andare. È stata un po’ una sorpresa visto che Bernardeschi aveva detto di volersi meritare quella maglia. In generale la Juve mi sembra una squadra abituata a programmare il futuro e non a rivoluzionare».

Chiudiamo tornando a Petacciato e al Molise. Parli mai del Molise ai tuoi amici e colleghi?
«Come no, certo. Fra l’altro un mio amico, Antonino Milone, che scrive per Tuttosport, è di Campobasso. Sembra però che il Molise ci sia, ma non si debba vedere»

Cosa miglioreresti di questo posto?
«Noto che c’è voglia di fare meglio, ma anche paura di farsi conoscere, che forse è anche giusto per evitare un turismo di massa. Però penso servirebbero proposte mirate, accattivanti dando spazio ai giovani. Di recente ho visto 50 americani in spiaggia a bere Coca-Cola. Bisogna essere bravi a portare queste persone in paese. E poi è bellissimo vedere la sera i bambini che giocano sul viale, ridono e si divertono. La cultura semplice arricchisce il paese».

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